Ci puoi spiegare la tua ricerca e quali sono gli obiettivi finali?
Il tumore al polmone rappresenta la principale causa di morte per cancro nel mondo. Ogni anno vengono diagnosticati circa 40.000 nuovi casi, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni intorno al 16%. La sua natura è spesso asintomatica, pertanto viene diagnosticato in una fase avanzata, quando è già metastatico. L’unico strumento di screening attualmente approvato è la TAC toracica a basso dosaggio. Sebbene questa abbia ridotto la mortalità per tumore al polmone del 25%, i costi e l’esposizione alle radiazioni ne limitano l’uso nella pratica clinica.
I progetti di ricerca clinica di cui mi occupo mirano a identificare biomarcatori specifici del tumore al polmone in una fase iniziale, attraverso l’analisi di fluidi biologici come sangue, urine ed esalato respiratorio. Un metodo di screening minimamente invasivo e poco costoso come quello proposto nei nostri progetti di ricerca potrebbe essere adottato per tutta la popolazione target (es. fumatori, persone con familiarità per il tumore al polmone o altre patologie infiammatorie polmonari), indipendentemente dalla presenza di sintomi specifici. Inoltre, aiuterebbe i medici nelle decisioni cliniche e nella prescrizione di esami di secondo livello, più invasivi.
Ci racconti del tuo team? Avete l’occasione di condividere ciò che viene scoperto anche a livello nazionale e internazionale?
Il nostro team di ricerca è composto da un gruppo multidisciplinare con competenze che spaziano dalla Chirurgia toracica, alla biologia molecolare, alla bioinformatica. Collaboriamo strettamente per sviluppare e implementare soluzioni innovative nel campo della diagnosi precoce del tumore al polmone. Inoltre, collaboriamo con un gruppo di bioingegneri dell’università di Roma Tor Vergata e un gruppo di ricerca di Foggia che ha sviluppato e brevettato un test ELISA per il rilevamento di una specifica proteina nella sua forma natia RKIP e fosforilata pRKIP. E in occasione di grant internazionali condividiamo il nostro lavoro con esperti di altri paesi. Siamo stati coinvolti come partecipanti in un progetto sottoposto dall’Università di Delft per un bando della comunità europea (HLTH-2023).
Qual è stato il momento in cui hai deciso di diventare una ricercatrice?
Al termine della laurea triennale, ho partecipato a un progetto di ricerca sulla fibrosi polmonare idiopatica. Durante, ho avuto l’opportunità di collaborare con colleghi più esperti, che mi hanno arricchita professionalmente e trasmesso la loro passione per questo campo. Nel giro di pochi mesi, sono riuscita a integrarmi completamente nel team di ricerca.
Perché è così importante ricevere una borsa di studio come quelle della Fondazione IEO-MONZINO ETS?
Uno dei principali punti critici per i ricercatori italiani è la precarietà e la scarsa retribuzione, che spesso non compensano i sacrifici affrontati durante il percorso di studi. Le borse di studio, come quelle offerte dalla Fondazione IEO-MONZINO ETS, rappresentano un sostegno fondamentale, garantendo uno stipendio ai ricercatori che, senza questi finanziamenti, sarebbero costretti a cercare altre forme di impiego.
Puoi raccontaci una giornata tipo in laboratorio?
Il progetto di ricerca su cui sto attualmente lavorando non si limita alla sola parte di laboratorio. Al mattino incontro i pazienti che vengono per il prericovero in vista di un intervento presso la nostra divisione, oppure i volontari sani che hanno deciso di contribuire al nostro progetto. In ambulatorio mi occupo della parte burocratica, come la firma dei consensi, e dei prelievi di campioni di sangue (con l’aiuto dell’infermiera), urine ed esalato respiratorio. Quest’ultimo prelievo consiste nella raccolta del respiro in due sacchi sterili, come se il paziente gonfiasse un palloncino.
Successivamente, mi sposto in laboratorio dove centrifugo i campioni di sangue per estrarre il siero, stocco i campioni di urina e analizzo i sacchetti di esalato respiratorio con un macchinario collegato al computer, che abbiamo soprannominato ‘naso elettronico’ perché aspira l’aria e ci fornisce una ‘firma’ specifica, utile per distinguere i pazienti affetti da tumore del polmone dai soggetti sani.
Le urine vengono inviate al gruppo di bioingegneri di Roma, con cui collaboriamo, mentre il siero sarà presto analizzato da me insieme al gruppo di proteomica dello IEO.
Come ci si sente quando si scopre qualcosa di nuovo? Chi chiami se dovesse succederti?
È senza dubbio una soddisfazione immensa, perché si è consapevoli di poter fare un passo importante per migliorare la vita di tante persone. La prima persona che chiamerei in questi momenti è sicuramente mia madre, o comunque la mia famiglia.
Che messaggio daresti ai giovanissimi: consiglieresti questo lavoro e perché?
Consiglio vivamente di scegliere un percorso di studi che rispecchi le proprie passioni, senza farsi condizionare da pressioni familiari o esterne. Il lavoro di ricercatore può essere estremamente gratificante, ma richiede anche molta dedizione e pazienza. Tuttavia, se si è veramente appassionati all’idea di contribuire a nuove scoperte e si è pronti ad affrontare l’incertezza e le sfide del percorso, può rivelarsi un’esperienza lavorativa profondamente appagante.
Cosa vorresti dire ai donatori che ti hanno dato la possibilità di ricevere questa borsa di studio?
Vorrei esprimere un sincero ringraziamento ai donatori che hanno scelto di sostenere il nostro progetto di ricerca. Questo contributo rappresenta un’importante manifestazione di fiducia nel nostro lavoro.