Quel 2004 era iniziato bene: in marzo, a Sanremo, la mia canzone “Lavoro inutile” era stata premiata come miglior testo del Festival.
Mi preparavo a un tour europeo, ma la notte dell’8 giugno avevo dormito male: pensavo a una banale congestione. Su insistenza di mia madre (le mamme ne sanno sempre di più…) sono andato al Pronto Soccorso, dove “per scrupolo” mi hanno ascoltato il cuore. Avevo giocato a calcio e a rugby senza mai un problema, ma mi scoprirono un soffio al cuore.
Mi sottoposero al primo ecocardiogramma della mia vita – a oggi ne avrò ormai fatti un’ottantina! – e dopo cinque minuti ero in sala operatoria. Avevo un aneurisma già sanguinante.
Da allora la mia vita ha preso una direzione diversa. Si era scoperto che il mio cuore è più grande di tre millimetri rispetto alla norma; può suonare anche poetico, ma è un problema.
Dopo quell’intervento ne ho subìti altri quattro, ormai sono un veterano di sale operatorie; ma fin dalla prima volta ho imparato a stare attento. E considerando che noi musicisti facciamo una vita sempre on the road, i controlli sono diventati un’abitudine necessaria.
Dico sempre ai miei amici: “La pressione delle gomme delle vostre auto l’avete controllata: e la vostra?”. È semplice e poco costoso andare in farmacia un paio di volte al mese.
Se lo avessi fatto prima – proprio gli sbalzi pressori sono un indicatore importante di predisposizione agli aneurismi cardiaci – probabilmente avrei scoperto per tempo di avere un problema.
E poi fondamentale è l’ecocardiogramma, che tutti dovremmo fare almeno una volta l’anno. Il tagliando all’auto lo facciamo ogni dodici mesi, no? Ecco, facciamolo anche al nostro cuore.
Questa esperienza ha naturalmente modificato il mio sguardo sia sul futuro sia su me stesso. Il mio approccio alla vita è cambiato totalmente, i miei occhi guardano in modo diverso le piccole cose di ogni giorno, le relazioni acquistano luce – penso ai miei figli e a mia moglie Veronica (per fare le cose per bene ho sposato la figlia di uno dei miei cardiochirurghi, Domenico Scalia) – ed è già un grande regalo sentire che la vita continua a scorrere nelle vene.
Non posso più praticare sport agonistici, però camminare e fare piccole corsette mi è non solo concesso, ma consigliato, per tenere oliata la macchina del mio corpo e per evitare di prendere peso (un altro grande nemico del cuore, e anche delle prestazioni sul palco).
Anche il cibo va controllato, senza rinunciare ai piaceri della tavola ma con intelligenza (Feuerbach non era uno stupido quando scriveva “l’uomo è ciò che mangia”). Il mio motto è “meno, ma meglio”; e da grande appassionato di enologia, quale sono diventato dopo un incontro speciale con Luigi Veronelli, mi posso anche concedere un bicchiere di vino rosso a pasto, con la benedizione dei cardiologi: che lo consigliano perché il tannino assunto in piccola quantità fa bene al cuore.
La musica per me è vita, e aveva ragione la mia amata nonna chitarrista Nina – lo stesso nome che ho dato alla mia chitarra preferita – quando mi disse: “con la musica non sarai mai solo”.
Durante le convalescenze, quando non sapevo se sarei potuto risalire su un palco, la musica mi è sempre stata di grande conforto, una vera e propria terapia. E lo vedo quando vado a suonare negli ospedali: la luce negli occhi di chi mi ascolta cambia dopo un’ora di allegria. So bene che la musica è in grado di allontanare i pensieri dal dolore fisico: e poter mettere a disposizione degli altri il dono che ho ricevuto mi regala una grande felicità.